Continua il nostro viaggio nel mito e nelle coppie nel mito. Dopo Filemone e Bauci e Orfeo ed Euridice, oggi Cadmo e Armonia.
Mito forse meno noto dei precedenti, ripreso da Ovidio nelle Metamorfosi, così come gli altri precedenti. Con l’avvicinarsi di una settimana che sarà interamente dedicata all’Amore, il Mito di Cadmo e Armonia ci porta a riflettere sulla complessità di equilibri cui l’amore ci obbliga, un amore che è tale se si riconosce in un intrecciarsi e sostenersi tra Terreno e Divino…..
“Il mito di Cadmo e Armonia si pone a metà strada tra il mondo degli dei e quello umano, poiché anche questa celebre coppia è considerata a un tempo divina per la presenza di Armonia e terrestre per la presenza di Cadmo
Cadmo era figlio di Agenore, re di Tiro, e Telefassa – ed è considerato il fondatore della città di Tebe.
Armonia, era ritenuta figlia di Ares e Afrodite, la loro figlia Semele avrebbe dato alla luce Dioniso, l’altra figlia Ino sarebbe stata a sua volta venerata dopo la morte come dea.
Cadmo era partito dalla casa dei genitori per cercare la sorella Europa che era stata rapita da Zeus ed era scomparsa. Il padre gli aveva vietato di tornare a casa se non avesse ritrovato Europa,
“spietato per troppo affetto”, dice Ovidio
Egli tuttavia non trovò la sorella, e non osando tornare a casa finì per trovare invece la sua sposa e per fondare un regno, quello di Tebe. Seguendo, su suggerimento di un oracolo, una vacca sacra, la condusse al luogo del sacrificio. Tuttavia, per compiere il rito aveva bisogno di acqua, e sulla fonte regnava un drago, figlio di Ares, l’originario sovrano di quelle terre ancora selvagge:
“… un serpente generato da Marte, tutto irto di creste d’oro; fiammeggiano gli occhi, il corpo è tutto rigonfio di veleno, ha tre lingue che vibrano, i denti sono disposti in tre file”.
Qui di Cadmo viene sottolineata la solitudine come un aspetto del suo essere in un certo senso il“primo uomo”: gli altri abitanti della terra, che pure esistevano, erano nati dal fango, esseri così primordiali da non alterare sostanzialmente la solitudine del proprio stato primitivo.
Cadmo si presenta anch’egli come un uomo primitivo: “portava addosso la pelle strappata a un leone, per armi una lancia dalla punta di ferro lucente e un dardo, ma soprattutto, più forte di qualsiasi strumento, il coraggio”.
E tale sentimento di coraggio innalzerebbe l’essere umano dal proprio stato primitivo. Ecco perché Cadmo è considerato in tal senso “primo uomo” e, tuttavia per quanto primo, anche profondamente solo; forse proprio perché coraggioso.
Ma questa è una questione più complessa che si potrà trattare se vorrete.
Secondo Ovidio Cadmo uccise il serpente lanciando un macigno: “Quel colpo avrebbe sconquassato una gran cinta di mura con tutte le sue alte torri: il serpente rimase incolume”. Allora l’eroe lanciò il dardo, che il serpente riuscì a svellere dal proprio corpo, ma senza riuscire a strappare il ferro.
“Allora sì che gli crebbe la rabbia. Un flusso di sangue gli gonfiò la gola, una bava bianchiccia gli spumeggiò intorno alle fauci pestifere, e la terra rimbombò spazzata dalle squame e l’alito nero che gli usciva dalla bocca infernale ammorbò e infettò l’aria. Ora si raggomitola con le spire che fanno un cerchio immenso, ogni tanto si drizza più dritto di un lungo fusto, ora con impeto travolgente si slancia come un fiume ingrossato dalle piogge e abbatte col petto le piante che incontra”.
Dai denti del drago, usati come semi, nacque una stirpe di guerrieri armati, alcuni dei quali si uccisero tra loro. I superstiti vennero chiamati Sparti, “i seminati”.
La sua opera di fondatore di Primo Uomo che fonda così l basi per la costruzione di una nuova città; si compì attraverso il matrimonio con Armonia, la “unificatrice”, figlia dell’amore (Afrodite) e della guerra (Ares).
Alle nozze dei due sposi intervennero tutti gli dei, e fu questo l’ultimo banchetto in cui i due mondi terreno e divino, si avvicinarono così tanto. La coppia fu molto unita, malgrado la vita coniugale fu allo stesso tempo estremamente difficile e attraversata da grandi tragedie. I due furono sempre insieme, sostenendosi a vicenda e accettando ed elaborando i dolori restando assieme.
Alla fine della loro esistenza, Cadmo e Armonia, furono tramutati in una coppia di Serpenti. Così Ovidio lascia parlare Cadmo ormai vecchio, prostrato dalle tante disgrazie che avevano colpito la sua famiglia, si rivolge all’amata moglie Armonia:
“Forse era un serpente sacro quello che trafissi con la mia lancia ai tempi in cui lasciammo Sidone, e del quale seminai i denti, semi mai visti, nel suolo. Se gli dei si preoccupano di vendicarlo con un’ira così spietata, possa io stesso protendermi, serpente, su un lungo ventre”.
Cadmo venne subito accontentato e Armonia, per amore, chiese e ottenne di seguirne le sorti. I due serpenti andarono a vivere nel bosco e
“Ancora oggi, non fuggono l’uomo né lo aggrediscono per ferirlo. Serpenti pacifici, non hanno dimenticato che cosa furono un tempo
Nella mitologia Greca il Serpente non ha la validità simbolica della tradizione legata ai simboli religiosi Cristiani. Rappresenta la dimensione tra fascinazione e pericolo. Amore e Morte. Spogliato delle caratteristiche aggressive e distruttive, il Serpente e i Serpenti in cui si trasformano Cadmo e Armonia, diventano la sintesi simbolica, con gli stessi personaggi del Mito, della complessità di trovare equilibrio nella coppia tra Terreno e Divino, Amore e Odio, Guerra e Pace e di resistere agli urti spesso violenti della vita stessa e della società, continuando ad essere in due. Cadmo e Armonia sono “strappati al primitivo” (il primo serpente ucciso da Cadmo) e all’incoscienza violenta e distruttiva di un’idea d’ amore che può solo distruggere perché ripiegato su se stesso e sul proprio narcisistico bisogno; e trasformati attraverso il coraggio del proprio amore, della propria unione come coppia; nella divinità e sacralità del legame che può unire le persone nonostante tutto e anche nonostante la morte stessa.
“Il vero amore non è né fisico, né romantico. Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà”
K. Gibran
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